La private equity (PE) è un tipo di investimento finanziario che coinvolge il finanziamento di imprese private che non sono quotate in borsa, generalmente con l’obiettivo di acquisire una partecipazione di maggioranza o minoranza in tali imprese e quindi guidarle nella loro crescita e sviluppo.
In pratica, la private equity coinvolge il raggruppamento di capitali provenienti da investitori istituzionali o da individui ad alto patrimonio netto per investirli in imprese private che sono in cerca di finanziamenti per la loro espansione o per altri scopi. Questi investimenti possono assumere la forma di acquisti di azioni o di partecipazioni dirette nell’impresa stessa.
In genere, gli investitori in private equity cercano di acquisire un controllo attivo dell’impresa in cui investono, fornendo una gamma di competenze manageriali, strategiche e finanziarie per aiutare l’impresa a crescere e raggiungere i propri obiettivi di business. Una volta che l’impresa ha raggiunto una certa dimensione o maturità, la private equity può decidere di vendere la sua partecipazione a un altro investitore o di portare l’impresa in borsa attraverso un’offerta pubblica iniziale (IPO).
Il private equity investment può essere immaginato come una forma di finanziamento per la comunicazione di un’azienda. In questo caso, l’azienda potrebbe ottenere finanziamenti privati da investitori istituzionali o da fondi di private equity per supportare le sue attività di marketing e comunicazione.
Ad esempio, un’azienda può utilizzare i finanziamenti della private equity per sostenere la creazione di campagne pubblicitarie, sponsorizzazioni di eventi, attività di branding, relazioni pubbliche e molto altro ancora. Questo tipo di finanziamento risulta spesso essere particolarmente utile per le aziende che hanno una forte base di clienti e che vogliono espandere la loro presenza sul mercato o per le aziende che cercano di consolidare la loro posizione in un mercato altamente competitivo.
La private equity – anche attraverso un fondo di private equity (private equity funds) – è in grado di offrire l’accesso a un capitale significativo e ad una vasta gamma di risorse, che possono aiutare a migliorare la posizione sul mercato. Tuttavia, l’utilizzo della private equity per il finanziamento della comunicazione può comportare anche il rischio di indebitamento eccessivo o di perdita di controllo dell’azienda. Pertanto, è importante per le aziende valutare attentamente i potenziali vantaggi e rischi prima di adottare questa strategia di finanziamento.
L’innovazione e la crescita delle aziende italiane passa anche attraverso il loro finanziamento (private equity investora). Uno degli strumenti principali per riuscire a far competere le medie e grandi aziende italiane a livello globale è la private equity.
In Italia il mercato della private equity (investimento privato) è presente da almeno 20 anni, ma stenta a decollare del tutto ed è ancora distante dai livelli raggiunti in Francia, Germania e Spagna. Infatti, il numero di operazioni nel nostro Paese nel corso degli anni è rimasto a poche centinaia di operazioni annue.
La crescita della private equity è stata limitata da alcune peculiarità del mercato italiano, tr cui la mancanza di specifiche società di private equity. L’opinione comune e condivisa dai principali operatori del settore, vede alla base del mancato sviluppo della private equity in Italia una serie di punti critici, sui cui è necessario lavorare e su cui è importante agire a breve e nel lungo termine, per consentire a questo mercato di avvicinarsi agli standard Europei.
Nonostante il mercato della private equity nel nostro Paese sia ancora di piccole dimensioni (invest in private equity), la convinzione comune è quella che l’Italia sia un Paese con buone potenzialità e un terreno fertile per lo sviluppo del sistema dei finanziamenti all’innovazione perché dotato di un Know-how produttivo e industriale che ha dato vita a tante eccellenze medio/grandi che fanno gola a molti investitori nazionali e stranieri.
Il principale ostacolo alla crescita della private equity nel nostro Paese è dato da un ecosistema arretrato, in cui alla base risiede una grande problematica culturale delle aziende Italiane in termini di mentalità, ma anche di conoscenza del mercato della private equity stesso, che con difficoltà viene percepito anche come una forma di supporto alle società. Un supporto che non si limita soltanto all’apporto di capitale ma che introduce anche conoscenze, esperienze, managerialità e innovazione.
Un’altra grande criticità consiste nella difficoltà di raccogliere capitale per il sostentamento e la vita dei fondi che vengono creati. L’incapacità di raccolta di capitale deriva da una mancanza di investimenti da parte dei fondi statali italiani: casse e fondi previdenziali, fondi assicurativi e fondazioni bancarie che guardano al nostro mercato come troppo rischioso, in cui il principale rischio percepito è quello di uno scarso ritorno in termini di liquidità, in questo modo si affidano ad advisor esteri e di conseguenza non sono motivati e spinti a versare capitale in attività locali.
Ulteriore problematica che blocca i grandi investitori esteri è l’incertezza e la complessità dei sistemi regolamentari che causano una dilatazione dei tempi delle operazioni di finanziamento.
Le basi per costruire un mercato della private equity italiana fertile sono già state poste, ma le sfide da affrontare affinché possa spiccare il volo non sono poche: tra queste sicuramente c’è la necessità di creare un ecosistema di contorno che possieda la conoscenza, le competenze e la managerialità per apportare l’innovazione che fino ad oggi è mancata.
Nel linguaggio comune si tende a considerare il termine “venture capital” come sinonimo di private equity. In realtà si tratta di due cose diverse, poiché il venture capital è una forma specifica di private equity, grazie alla quale si possono finanziare startup innovative o progetti dal forte potenziale di crescita nel lungo periodo o aziende che non sono più in fase d’avviamento, ma che in compenso presentano flussi di cassa negativi.
Nonostante il forte ritardo nello sviluppo digitale dall’Italia (25esimo posto nella classifica europea DESI), le imprese stanno dimostrando di “recuperare terreno”, in parte spinte dalla crisi, in parte perché consapevoli dell’importanza di abbracciare rapidamente le nuove tecnologie.
Basti pensare che ben 900mila persone in più rispetto al 2019 si sono connesse a Internet in Italia. Mai come quest’anno i consumatori sono stati esposti ai media e al digitale. Eppure, a causa della difficile e incerta situazione economica, tante aziende stanno rallentando le compagne pubblicitarie e riducendo gli investimenti in comunicazione, quando dovrebbero fare esattamente l’opposto.
Si viene così a creare la paradossale situazione in cui, da un lato le imprese avrebbero a disposizione un’enorme audience, ma non fanno investimenti per raggiungerla, non chiedono finanziamenti per strategie social o campagne di digital marketing, e non si adoperano per adeguare la comunicazione.
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